Proteggersi costa troppo? Non sempre minor prezzo significa minor sicurezza

Proteggersi costa troppo? Non sempre minor prezzo significa minor sicurezza

Alcune aziende che producono in Cina garantiscono più qualità del “made in EU”. E’ meglio vestire indumenti fatti in Cina omologati in Europa come protettivi oppure italiani non certificati? Chi vuole la certezza di comprare abbigliamento per motociclisti “Sicuro” e di qualità tende a comprare italiano e si sente a posto. Niente di più sbagliato, […]

26 Gennaio 2011 - 00:00

Alcune aziende che producono in Cina garantiscono più qualità del “made in EU”. E’ meglio vestire indumenti fatti in Cina omologati in Europa come protettivi oppure italiani non certificati?

Chi vuole la certezza di comprare abbigliamento per motociclisti “Sicuro” e di qualità tende a comprare italiano e si sente a posto. Niente di più sbagliato, purtroppo. La maggior parte dei marchi italiani produce comunque all’estero. Non sempre, poi, dietro il “Made in Italy” si trova la qualità che serve a un motociclista. Inoltre, sono più unici che rari i marchi italiani che producono articoli omologati come protettori (es. GIMOTO
). Certo, l’omologazione non è assoluta certezza universale di protezione, ma è l’unica “arma” affidabile che il consumatore ha per distinguere un bel vestitino per la domenica da una vera giacca protettiva per motociclisti. I prezzi – poi – vi stupiranno: in alcuni casi arriva a costare meno un capo di abbigliamento interamente omologato rispetto ai soliti giubbotti griffati.more

  • Abbigliamento “buono” e “cattivo”

In questo nuovo capitolo relativo all’abbigliamento per motociclisti vorremmo sfatare il mito che vede i prodotti per motociclisti italiani come i migliori anche se più costosi. Che costano di più è vero, ma non sono sempre i superiori; addirittura in quanto a protezione: generalmente sono i peggiori.

Per giudicare come “buono” o “cattivo” un accessorio di abbigliamento abbiamo usato un criterio semplice.

  • I capi “buoni” sono quelli: interamente omologati come protettori, realizzati rispettando le norme europee, venduti a prezzo onesto, disponibili in più tipologie (racing, custom, ufficio, casual, donna, etc.), realizzati in pelle, di cui vi sia assistenza post-vendita, di cui si conoscano i materiali utilizzati e che si possano trovare facilmente sul mercato.
  • Gli articoli “cattivi” sono quelli: realizzati da terzisti, prodotti senza il rispetto delle norme UE, non interamente omologati, non dotati di tutti i protettori omologati, di cui non si conosca l’origine delle materie prime, venduti a prezzi improponibili, difficili da trovare sul mercato, senza assistenza post-vendita, disponibili in pochi modelli e difficili da trovare in misura e tipologia da donna.

Non ci sembra di aver usato criteri “disumani”, le associazioni dei consumatori generalmente sono più “cattive” con le pretese (e anche per questo ottengono meno dialogo con le aziende, NdR).

  • Una notevole eccezione italiana

Italiana e di qualità. Di cui si conosce tutto sui materiali. I cui responsabili sono disponibili a dare tutte le spiegazioni. Non è un sogno, stiamo parlando di GIMOTO e della sua tuta WAS+ interamente omologata
come protettore di livello 2 (il migliore). Se volete saperne di più vi invitiamo a leggere questo articolo (clicca)
.

  • Il problema “made in China”

Per poter proporre un prodotto a prezzi competitivi, le aziende spesso ricorrono alla delocalizzazione della produzione: cioè delegano la fase produttiva ad aziende estere, dove il lavoro costa meno. Scelgono una fabbrica già esistente in un altro paese e fanno una commessa (vogliamo tot capi con queste specifiche, seguendo questi modelli, per questa cifra): si affidano dunque a terzisti, che producono a prezzi inferiori capi che verranno poi rivenduti con il marchio delle aziende che commissionano il prodotto.

Niente di male, ma c’è un “ma”. Il problema vero della delocalizzazione è la perdita del controllo della qualità dei materiali utilizzati e della produzione: delegare a terzisti queste attività significa che non si sa più esattamente da dove provengono e come vengono trattate le materie prime e come viene prodotto l’articolo. Per esempio, colori al piombo, trattamenti al cromo esavalente e l’uso di nickel sono banditi all’interno della Comunità Europea, ma non in paesi come Cina e India, nei quali viene svolta l’attività produttiva per conto di molte aziende: così accade che il prodotto che acquistiamo potrebbe potenzialmente costituire un pericolo per la nostra salute, indipendentemente dalle caratteristiche di robustezza e resistenza.

  • Un esempio di “buono” made in China

Alcuni produttori sono invece in grado di mantenere il controllo della qualità, pur spostando la produzione all’estero. Non è vero che produrre in Cina significhi necessariamente vendere poi materiale scadente: dipende tutto dal modo di gestire delocalizzazione e produzione. Come? Ce lo spiega una multinazionale del settore: la GreenStar, per viva voce di Omar Olmi (Divisione abbigliamento moto – Motorquality) alla presenza di Mauricio Gierzstein, Presidente di GreenStar/Madif. In poche parole, è tutta una questione di scelte aziendali: decidere se diventare trader di prodotti fatti da terzi, oppure rimanere produttori.

Vi ricordiamo che GreenStar produce i capi di abbigliamento per motociclisti a marchio Arlen Ness e che vi avevamo parlato di loro qui (clicca per leggere)

Che cosa differenzia il “Made in China” positivo? Innanzitutto, la scelta dell’azienda di essere presente fisicamente sul territorio, cioè aprire una fabbrica in Cina (o altrove) che produca secondo standard precisi stabiliti dall’azienda madre. Per esempio, GreenStar ha costruito un proprio impianto a Hong Kong negli anni Settanta, in cui vengono controllate passo passo tutte le fasi produttive e dove si pone particolare attenzione alla sicurezza. Grazie a questa scelta, è possibile esportare conoscenze e tecnologie avanzate, sulle quali vengono formati propri dipendenti, selezionati sul posto in base a competenze specifiche.


Altrettanto importante è la scelta di poter risalire all’origine dei materiali e conoscerne ogni singola fase di lavorazione, possibile solo se si mantiene un proprio ufficio acquisti, come ha fatto GreenStar (proprietaria anche di due concerie in Sudamerica): così l’azienda ha pieno controllo anche su questo aspetto fondamentale. Sapere che il pellame non ha subito trattamenti con composti chimici allergeni o cancerogeni, che i cursori delle cerniere lampo non contengono nickel, che il filo utilizzato per le cuciture ha una determinata composizione può fare la differenza tra un prodotto di alta qualità e una classica cineseria. Ma c’è anche un altro vantaggio: la possibilità di acquistare materie prime di qualità anche in zone dove il costo è inferiore.

Quindi, è la somma di queste due scelte a consentire, per esempio, a GreenStar/Madif di produrre capi di alta qualità, che passano i test previsti dalle norme europee (le più restrittive per quanto riguarda allergie, cancerogenicità e omologazioni), e di venderli a prezzi decisamente competitivi.

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