MotoGP, il punto sulle gomme Bridgestone

MotoGP, il punto sulle gomme Bridgestone

La militanza del gommista nipponico in MotoGP è al termine. Il punto della situazione, sul circuito di Misano, in occasione del GP di San Marino e della Riviera di Rimini.Bridgestone. Un Marchio che evoca storia, competizioni, tradizione, sopraffina tecnologia, sinonimo di sfide. Una carriera internazionale intrapresa sin dai primi Anni ’60, lunga, gloriosa, non priva […]

21 Settembre 2015 - 00:00

La militanza del gommista nipponico in MotoGP è al termine. Il punto della situazione, sul circuito di Misano, in occasione del GP di San Marino e della Riviera di Rimini.
Bridgestone. Un Marchio che evoca storia, competizioni, tradizione, sopraffina tecnologia, sinonimo di sfide. Una carriera internazionale intrapresa sin dai primi Anni ’60, lunga, gloriosa, non priva di difficoltà, brusche interruzioni, clamorosi ritorni: Endurance (auto e moto), Formula 2, Formula 3000, CART, IndyCar (ancora impegnata mediante il Marchio Firestone, fornitore unico della serie), GP2, FIA GT, DTM, Formula 3, senza, ovviamente, dimenticare la proficua e duratura esperienza in Formula 1, categoria nella quale il gommista nipponico si affaccia per la prima volta in occasione del GP del Giappone. Correva l’anno 1976.more

  • Un’avventura iniziata nel 2009

Nel 2009, Bridgestone diviene il fornitore unico di pneumatici per la MotoGP. Tuttavia, non sono mancate, precedentemente a questo anno di svolta tanto per la MotoGP quanto per il gommista giapponese, le sfide contro altri gommisti altamente specializzati, provvisti di tecnologie e competenze all’avanguardia: nelle classi 125cc e 250cc, quindi in MotoGP (2002), classe nella quale rimarranno memorabili le sfide “all’ultima mescola” con Michelin e Dunlop.

In occasione del GP di San Marino e della Riviera di Rimini, tredicesimo appuntamento del Motomondiale 2015, abbiamo avuto modo di
affrontare la “tematica gomma” in tutte le sue sfaccettature, tecniche, sportive, gestionali ed organizzative. Ciò è stato anzitutto possibile grazie alla squisita e preziosa disponibilità di Hiroshi Yamada, Manager di Bridgestone Motorsport – figura storica che può vantare, oltre a competenze tecniche di prim’ordine, una invidiabile, ultradecennale esperienza sui campi gara –, di Carmine Moscaritolo, Press Officer di Bridgestone MotoGP, e di Mike Lawson, Bridgestone MotoGP Marketing Communications .  

La MotoGP, come è facile intuire, è terra di estremizzazione tecnica, anche a fronte di un Regolamento Tecnico, in alcuni aspetti, eccessivamente vincolante. Anche gli pneumatici, pertanto, debbono essere in grado di assecondare e amplificare le esuberanti prestazioni delle moto, macchine da oltre 200 CV (e per oltre intendiamo dell’ordine di 230-240-250 CV) e velocità massime di 360 km/h. Impegno gravoso, non v’è dubbio.

La suddetta estremizzazione tecnologica e prestazionale, in ambito pneumatici, è emersa in tutto il suo vigore ai tempi della competizione Bridgestone-Michelin-Dunlop. In quegli anni, splendidi, la ricerca tecnologica si è spinta a livelli, appunto, estremi. Tutto era volto al conseguimento della massima performance, in qualifica (ricordiamo le famose, cosiddette gomme “chewing-gum” realizzate espressamente per il giro di qualifica) come in gara (le cui gomme potevano essere realizzate in tempi brevi anche durante i weekend di gara stessi, in base alle indicazioni ottenute nelle prove!). Ogni gommista aveva un solo obiettivo: vincere, sbaragliare la concorrenza.

  • Il monogomma e le sue problematiche

Il monogomma, come logico, ha cambiato le carte in tavola. In mancanza di una reale competizione tra fornitori, il ruolo del gommista ha subito una trasformazione. Le priorità prettamente prestazionali, tipiche del periodo in cui il Regolamento contemplava più fornitori di pneumatici, hanno lasciato spazio ad ulteriori, nuove esigenze. Il regime di monogomma, anzitutto, impone al gommista una particolare attenzione alla sicurezza del prodotto. In secondo luogo, deve essere in grado di sviluppare pneumatici che accontentino il più possibile tutti i team impegnati. Naturalmente, anche un regime regolamentare di monogomma comporta, da parte del gommista, investimenti tali che consentano di mantenere alto e costante il livello prestazionale del prodotto, benché non più estremizzato. È lo stesso Yamada a confermare che i notevoli incrementi prestazionali delle MotoGP sono, in larga parte, frutto del miglioramento delle moto stesse (telaio, ciclistica, elettronica e così via). Le gomme sì hanno offerto e offrono il proprio contributo, tuttavia esse non vengono più concepite e realizzate perseguendo, quale obiettivo primario, la spasmodica, ossessiva ricerca delle prestazioni massimali, le quali, all’atto pratico, si traducono in tempi sul giro sempre più bassi.

Anche il modo di sviluppare gli pneumatici è cambiato rispetto al periodo che vedeva contrapporsi Bridgestone alla Michelin. Se prima le gomme venivano sviluppate e concepite specificatamente per ciascun pilota, per ciascuna moto, per ciascuna Casa, il regime di monogomma ha, gioco forza, imposto un nuovo concetto di sviluppo. Uno sviluppo, per così dire, in concerto, in accordo con i team tutti. Nel corso dei test invernali, infatti, Bridgestone, dopo aver analizzato le impressioni di piloti e team, nonché aver preso in esame e visionato tutti i dati raccolti nella stagione trascorsa, progetta e realizza gli pneumatici per la nuova stagione agonistica. Coperture che, come si intuisce, debbono soddisfare tutti i piloti, tutti i team e tutte le Case impegnate. Un lavoro, pertanto, impegnativo. Mettere d’accordo tutti i team, come noto, è impresa tutt’altro che agevole.

  • Le opzioni Bridgestone

In questo 2015, la Bridgestone ha sviluppato le seguenti tipologie di pneumatici, assecondando anche regolamenti tecnici e sportivi eccessivamente cervellotici e spesso poco immediati e intuitivi. Infatti, il gommista giapponese deve sposare le esigenze tecnico-regolamentari delle sottoclassi ed eccezioni vigenti oggigiorno in MotoGP: Factory, Open, Factory con concessioni Open. Queste differenze riguardano non solo, ad esempio, possibilità di sviluppo del motore, numero di propulsori a disposizione a stagione, capacità dei serbatoi, elettronica, ma anche gli pneumatici.

Ad ogni gara, infatti, le Factory (solo Honda e Yamaha) sono costrette ad impiegare le mescole più dure, al contrario, le Open e le Factory con concessioni Open (Ducati, Suzuki, Aprilia) quelle più morbide. Un delicato “gioco” atto, nelle intenzioni, a livellare le prestazioni tra moto Factory ed Open. Tuttavia,  come riferitoci da Paolo Ciabatti – Direttore Sportivo Ducati Corse – le prestazioni in gara della Ducati Desmosedici GP15 potrebbero trovare benefici se solo la bella e competitiva moto di Borgo Panigale potesse calzare gli pneumatici a mescola più dura, quelli, cioè, a disposizione di Honda RC213V e Yamaha YZR-M1, Case Factory. In qualifica – riferisce Ciabatti – le mescole più morbide previste per Open/Factory Open possono contribuire a rosicchiare decimi preziosi e ad avere, in generale, maggior grip, utile soprattutto nel cosiddetto “giro secco” di qualifica.

Vediamo nel dettaglio, allora, le gomme sviluppate da Bridgestone per la stagione 2015 di MotoGP, nominate Battlax. Le mescole dure slick, per quanto concerne tanto gli pneumatici posteriori (misura 190/650-16,5) quanto gli anteriori (misura 125/600-16,5), contemplano la Hard (banda rossa) e la Medium (banda nera). Due i tipi di mescole morbide previsti sia al posteriore che all’anteriore: Soft (banda bianca) ed Extra-Soft (banda verde). Solo al posteriore, Bridgestone fornisce la nuova Extra-Hard, riconoscibile dalla banda gialla.

Al posteriore, vengono sovente impiegate mescole asimmetriche, sviluppate di volta in volta “ad hoc” in base alle caratteristiche dei circuiti. Anche all’anteriore, Bridgestone ha sviluppato una nuova gomma asimmetrica, la Asymmetric Front (banda azzurra), caratterizzata da mescole differenziate atte ad ottimizzare l’aderenza in curva. Due le mescole previste per gli pneumatici da bagnato: Hard (banda nera) e Soft (banda bianca). Sono i circuiti, dunque, a dettare, nel corso della stagione, le scelte di Bridgestone circa la definizione delle mescole da portare nei weekend di gara. Numero e tipologia di curve, temperature, asfalto sono i principali fattori che concorrono al certosino sviluppo degli pneumatici.

  • Il punto da Misano

Il circuito di Misano, recentemente riasfaltato, ha confermato la assoluta bontà del prodotto Bridgestone. L’elevato valore di moto, piloti e pneumatici, nonché condizioni climatiche particolarmente favorevoli, hanno reso possibile il raggiungimento di prestazioni a dir poco eccezionali. Tre le mescole slick anteriori portate da Bridgestone a Misano: Soft, Medium, Hard. Le Factory, come da Regolamento, hanno potuto scegliere tra le due mescole slick posteriori più dure optate da Bridgestone: la Medium asimmetrica e la Hard simmetrica. Le Open e le Factory con concessioni Open, al contrario, hanno avuto a disposizione – al posteriore – la Soft e la Medium (parliamo sempre di gomme slick). Tutte le gomme portate a Misano sono state prodotte circa tre mesi prima di tale evento agonistico. Ad ogni gara, Bridgestone porta in circuito 1200 pneumatici, a testimonianza dell’elevato sforzo economico, tecnico e logistico messo in campo dal gommista nipponico.

Il tracciato romagnolo, data la sua configurazione e la prevalenza di curve a destra, è particolarmente probante per il fianco destro, specie per quanto riguarda lo pneumatico posteriore.

Le gomme, come noto, costituiscono il solo elemento della moto a contatto con la strada; facile, dunque, intuire e immaginare l’importanza di questi elementi. Gli pneumatici Bridgestone – la cui forma non è mai stata modificata dal 2009 – hanno dimostrato prestazioni, in termini di usura (il consumo fisico e meccanico del battistrada) e degrado (il calo prestazionale che deve essere quanto più progressivo), davvero eccellenti. Non sono mancate occasioni – poche – in cui le gomme hanno palesato difetti e carenze (su tutti, ricordiamo il famigerato GP di Australia 2013), tuttavia questi episodi possono rientrare (ed effettivamente rientrano) nella normale casistica riscontrabile in tanti anni di corse. La spiacevole esperienza australiana ha recato, invero, benefici. La Bridgestone, infatti, da quel momento, ha intensificato i controlli sulle gomme. Dopo ogni sessione, a campione, gli pneumatici vengono sezionati, analizzati, verificati. Questa accurata indagine – usura, temperature, ecc. – consente non solo di consigliare al meglio, sui campi gara, team e piloti circa la più idonea scelta delle gomme, ma anche di affinare e indirizzare il futuro sviluppo degli pneumatici stessi.

Il GP di Misano, inoltre, ha permesso allo spettatore di osservare più da vicino il delicato comportamento delle gomme da bagnato. La pioggia caduta improvvisa sul tracciato, nel corso della gara di MotoGP, ha prodotto il cosiddetto “flag-to-flag”, ossia il rapido cambio moto da effettuarsi ai box. Allorché, dopo la pioggia, la pista andava ad asciugare, gli pneumatici da bagnato – la cui carcassa è decisamente meno rigida di quella delle gomme slick – hanno palesato la rapida, vistosa usura tipica di ogni copertura wet, sia di moto che di auto. Le gomme da pioggia, infatti, odiano l’asciutto e le alte temperature proprie delle slick: esse, dunque, debbono lavorare a temperature d’esercizio più basse e necessitano della sola presenza dell’acqua per esprimere le proprie caratteristiche e peculiarità. Sono gomme, tuttavia, che consentono il raggiungimento di alte velocità massime: ad Austin (Texas), Hiroshi Aoyama, sostituto di Daniel Pedrosa, faceva registrare velocità massime sull’asciutto dell’ordine dei 345 km/h. In condizioni di bagnato, tuttavia, questa velocità subiva una riduzione di appena 10 km/h, a conferma delle ottime qualità delle coperture wet sviluppate dalla Bridgestone.

Il GP di Misano, inoltre, ha evidenziato, per l’ennesima volta, quanto le condizioni della pista influenzino notevolmente la già delicata scelta delle gomme. L’alternanza tra asciutto-bagnato-asciutto poteva rendere possibile l’opzione delle cosiddette “intermedie”, pneumatici contraddistinti da una scolpitura assai meno fitta e spessa di quella presente sulle gomme “full wet” e da caratteristiche prestazionali che si pongono a metà strada tra una slick ed una wet.

Tuttavia, la Bridgestone non fornisce questo tipo di copertura, ritenendola superflua, un compromesso poco utilizzato in passato e dalle scarse ricadute tecniche sul prodotto di serie.

Benché l’esperienza della Bridgestone in MotoGP sia da definire e archiviare alquanto positivamente (degno di nota, il primo titolo mondiale datato 2007, grazie a Casey Stoner e la Ducati GP7 800cc), il Marchio del Sol Levante abbandona la classe regina a fine 2015.

Hiroshi Yamada tratteggia un parallelismo con quanto accaduto in Formula 1, ove la Bridgestone ha lasciato, a partire dal 2011, campo libero ad un ulteriore, nuovo regime di monogomma, quello Pirelli. Ebbene, la Bridgestone lascia la MotoGP – a quanto pare – a seguito di oculate scelte aziendali e strategiche: l’esperienza in MotoGP, al momento, può dirsi conclusa in quanto tutti gli obiettivi prefissati da Bridgestone stessa – tecnici e sportivi – sono stati colti. Una militanza che, in MotoGP, è attiva sin dal 2002 e che ha arrecato benefici tecnologici anche attorno al prodotto di serie. Il gommista nipponico perseguirà altri obiettivi, quali un rafforzamento nelle competizioni in Patria (Superbike, cross, Endurance). È ancora Hiroshi Yamada a ipotizzare i prossimi scenari. La MotoGP, dal 2016, abbraccerà l’era del monogomma Michelin e del cerchio da 17 pollici (oggi è da 16,5”); il Manager di Bridgestone non si attende grossi cambiamenti rispetto al 2015. Le prestazioni, dunque, non subiranno rilevanti incrementi al rialzo, come, verosimilmente, non potranno subire vistose flessioni al ribasso. Il regime di monogomma Bridgestone, in vigore dal 2009, ha segnato un’epoca: non solo ha inaugurato – volenti o nolenti – l’era della gomma unica in quella che può definirsi, a ragione, la classe regina del Motomondiale, ma, a nostro avviso, ha gettato le basi per una corretta, equilibrata gestione del regime di monogomma stesso. Basi che la pur esperta e qualificata Michelin non potrà ignorare.

Ed è proprio l’abbandono di Bridgestone che ci ha spinto a domandare ad Hiroshi Yamada informazioni più dettagliate circa gli pneumatici da competizione Bridgestone di MotoGP, su tutti i materiali di costruzione della carcassa, elemento chiave e determinante ai fini delle prestazioni di un qualsivoglia pneumatico da competizione.

Domanda volutamente e deliberatamente ardita, risposta legittimamente negata. Bridgestone sì lascerà a breve la MotoGP, ma i più intimi segreti di fabbrica… beh, quelli restano.

 

 

 

 

 
di Paolo Pellegrini.

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